I musei italiani sfruttano ancora poco le potenzialità della comunicazione digitale, ma anche il loro futuro sembra dirigersi verso i social media

Che i social media siano fondamentali oggi per fare networking e che anche i musei di tutto il mondo abbiano iniziato ad affacciarsi al mondo della comunicazione digitale (forse) si sapeva già. A partire da Facebook, mezzo attraverso il quale è possibile avvicinarsi agli utenti e dare visibilità alle proprie mostre, collezioni ed eventi, passando per Instagram, Twitter e YouTube, l’arte è sempre più partecipe nel web, dove interagisce con gli utenti e li coinvolge. Questa sembra la strada da percorrere verso il museo del futuro, che sarà sempre meno istituzione ‘dinosauro’ e sempre più punto d’incontro e conversazione dinamico che cerca di abbassare le barriere socio-culturali e stimolare l’engagement.

Rendere attivi gli utenti è il nodo centrale di molte strategie social vincenti in ambito museale: in primo luogo è necessario ascoltarli, così come nello sviluppo di un piano di comunicazione in qualunque altro ambito, capire da dove vengono e cosa si aspettano, entrare nella loro quotidianità per fornire proposte conformi alle aspettative. In secondo luogo creare un ambiente partecipativo, permettendo agli utenti di passare dalla condizione passiva a quella attiva coinvolgendoli non solo nell’attività di consumo dei contenuti, ma anche in quelle di creazione, produzione e distribuzione degli stessi. In quest’ottica è stato pensato, ad esempio, il Museum Selfie Day, iniziativa promossa dall’esperto di comunicazione digitale Mar Dixon per sensibilizzare il pubblico sulle collezioni museali, che ha stimolato gli utenti a visitare fisicamente i musei per poter scattare le immagini con le opere d’arte. Discorso analogo per l’hashtag #Howdoyousee lanciato dal Peggy Guggenheim Collection di Venezia, il quale ogni settimana pubblica le foto più interessanti sul profilo Instagram del museo.

Ma se i grandi musei internazionali hanno ormai capito il meccanismo con cui sfruttare i social media per attrarre e interessare i propri fan e visitatori, i musei italiani rimangono indietro. Secondo il X Rapporto Civita “#SOCIALMUSEUMS. Social media e cultura, tra post e tweet”, “l’utilizzo di tali strumenti come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori non costituisce ancora, per i nostri musei, un obiettivo strategico e rilevante, ad eccezione dei musei d’arte contemporanea, capaci, al contrario, di richiamare non solo i giovani (cosiddetti “nativi digitali”) ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo.” Un panorama, quello italiano, in cui i Musei Vaticani ed Uffizi, tra le realtà più visitate della penisola, non hanno un profilo Facebook certificato e su Twitter il primo non è presente e il secondo ricade sotto un profilo generico che include ben 28 istituzioni.

Nonostante tutto si intravedono timidissimi segnali di risveglio: un’indagine avviata all’inizio del 2016 fra i primi 20 musei autonomi del Mibact (ovvero quelli con i direttori manager scelti con il concorso di un anno fa, chiamati anche a rilanciare con nuove iniziative gallerie e siti archeologici) sembra dimostrare che che chi si impegna sul web incontra l’apprezzamento del pubblico italiano. Dall’analisi dei post rilevati tra il 1 gennaio e 31 maggio 2016, è emerso che i contenuti pubblicati sui social network direttamente dai responsabili degli account social dei musei sono passati dai 2.809 del 2015 ai 7.165 del 2016, quasi triplicandosi. Rispetto al semestre 2015, si è registrato in particolar modo un + 2.259 su Twitter, un + 1.418 su Facebook ed un +190 anche per Instagram. Sul podio, per sentiment positivo generato, è risultata la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma superando il 90% dei consensi (91,7%,), seguita dal Museo Nazionale Archeologico di Taranto (91,2%) e dalla Galleria Nazionale delle Marche (90,5%). Sempre la stessa ricerca ha individuato anche il TAI score (Travel Appeal Index Score) cioè il voto complessivo della presenza sul web, analizzato per tutti i canali social, per i contenuti, l’ottimizzazione, la gestione e le performance. Anche per il TAI Score si è registrato un aumento di 6 punti con un punteggio di 57/100 del 2016 rispetto al 51/100 del 2015.

Ma scuotere i musei italiani ci sta pensando anche il progetto sperimentale #svegliamuseo, creato da Francesca De Gottardo, il cui obiettivo è quello di fare rete attraverso il web, fornire consulenza gratuita e permettere alle realtà museali internazionali già attive nel digitale di condividere la loro esperienza e i loro progetti con quelle italiane. Il tutto per sviluppare una ‘coscienza social’ anche nell’ambito dei musei della penisola, per stimolare e indirizzare all’utilizzo di questi strumenti in modo coerente rispetto al proprio contesto.

Anche SocialMeter Analysis sta monitorando il parlato nel web relativo ai musei italiani per capire se, a fronte di una maggiore attenzione e frequenza nella gestione dell’attività social da parte delle istituzioni museali, il sentiment degli utenti stia effettivamente migliorando. Il risultato del monitoraggio confluirà in un report contente un’analisi quantitativa e qualitativa di quanto e come gli utenti parlano (nei social, blog e web in generale) dei musei italiani.

Dal passaparola virtuale allo svecchiamento del pubblico museale, dal permettere agli utenti di ‘fare esperienza’ della cultura al crearne di nuova: i vantaggi di un attività social ben gestita per un museo sono innumerevoli. In una società che legge poco e si annoia facilmente i social network potrebbero servire a dare quella spinta che riavvicini gli italiani all’arte e alla cultura, un punto di partenza per scoprire i nuovi orizzonti partecipativi del museo.